Il campionato in panchina_Piacenza-AlbinoLeffe

di Emiliano “el buitre” Fabbri

La preparazione a una partita è per me sempre meticolosa. Ancora oggi che sfioro il mezzo secolo, e invece che in campo vado in panchina da dirigente, cerco di non tralasciare nulla. Indosso con riguardo l’abito ufficiale, e mi pulisco le scarpe, rigorosamente nere, come quando passavo il grasso di foca sulle mitiche Copa Mundial. Il mio zaino è ordinato come il mio vecchio borsone, anche se ora contiene penna e cartellina.
Oggi è la giornata ideale per giocare a calcio. Piove. Quella pioggia che rinfresca la primavera e bagna il campo il giusto per far scorrere la palla con decisa delicatezza. Nulla a che vedere con i campi di terra battuta che calcavo da ragazzo, quando ogni scivolata, tra i sassi e le linee laterali in calce viva, era un rischio per la vita. Oggi il Garilli è un biliardo. Viene voglia di giocare. Vabbè, quella non è mai mancata, ma ormai il mio posto è lì nel mezzo. Nel mezzo della panchina. La sfida con l’Albinoleffe ha il sapore dello spareggio playoff. Dentro di me sale quella tensione che non mi ha mai lasciato da quando vivo in un campo di calcio. Quella tensione che condivido con compagni di squadra eccezionali.


Quando non sono passati nemmeno una decina di minuti, il Mago Cesarini decide di ribaltare le leggi della fisica. E della matematica. Con un colpo di classe che potrebbe essere nato in un arco di tempo che va da Shingo Tamai a Shaolin Soccer, scrive in rapida successione: il primo gol della giornata, il suo decimo stagionale, e il 101 della sua carriera. Un colpo di arte marziale di questa portata di solito si vede fare a Ibra, e siamo certi che se lo avesse fatto lui lo passerebbero in loop tutte le tv. Ma per fortuna lo ha fatto Alessandro, il nostro Capitano, che anche oggi ci ricorda che: Sin ’10’ no hay fútbol. La musicalità della partita non cambia per tutti i suoi novanta minuti e nel frattempo mister Scazzola fa alzare al buon Brizzolesi il tabellone per i cambi, lanciando sul prato bagnato Rillo, Lamesta e Dubickas. Ecco. Tenete a mente questi tre nomi perché torneranno nella stramba storia di questa partita. Noi continuiamo a tenere il ritmo, rischiamo poco e cerchiamo di segnare il secondo gol per evitare quelle sofferenze che troppo spesso in questa stagione abbiamo patito nei minuti di recupero. Intanto dal cielo di Piacenza schizzechea with love. Ma si sa. Acqua e sole cambiano la faccia alle persone. E anche alle partite. Così quando stiamo stringendo i pugni e guardando compulsivamente il cronometro, nella vana attesa che terminino i cinque minuti di recupero decretati dall’arbitro, il buon Martignago, col suo piede sinistro, scrive al volo il suo nome sul tabellino, fa urlare i dodicitifosi bergamaschi in curva sud, e fa cadere il nostro sguardo sui fili d’erba ormai fradici del Garilli. I miei di occhi cadono sul cronometro. C’è scritto 48. Il nostro sogno è svanito al terzo minuto di recupero. Quando li rialzo la palla è sul cerchio di centrocampo e di minuti, però, ne mancano ancora due. Quante cose possono accadere in due minuti? L’ultima speranza è trascinata dall’ennesima disperazione. Nel frattempo Pezzopane della sezione de L’Aquila continua a far giocare. Veramente giocano loro, forti dell’impatto emotivo avuto con l’insperato pareggio. Girano il pallone nell’attesa, ora loro, della fine. Mancano quaranta secondi ai titoli di coda quando Rillo recupera la palla e la passa a Lamesta, che chiude il triangolo lanciando il compagno sulla fascia sinistra. Mentre Rillo si invola sulla fascia, lentamente ci alziamo dalla panchina. Uno ad uno. Lo seguiamo nella sua corsa quasi spingendolo sul fondo. Quando col suo mancino crossa al centro le nostre bocche si spalancano a chiamare il nome di colui che in spaccata gonfia la rete: DUBICKAAAASSSS!!!!!!!

Gli attimi seguenti sono confusi e felici. Dubickas corre. Noi corriamo verso Dubickas. Un dirigente che sfiora il mezzo secolo fa uno scatto rischiando di cappottarsi sul prato bagnato del Garilli, per andare ad abbracciare Edgaras e tutti i suoi compagni di squadra. E tutto per passione. Perché in fondo, come diceva il Divino Paulo Roberto Falcao: “Il calcio è passione. Pioggia o sole, l’emozione del traguardo è ciò che ci muove”.

Il campionato in panchina_Piacenza-Fiorenzuola

di Emiliano “el buitre” Fabbri

Domenica 20 marzo si gioca allo stadio Garilli il derby piacentino tra Piacenza e Fiorenzuola. La Primogenita e la Cenerentola. Con le debite proporzioni, è come se si giocasse in campionato un derby come Juventus-Chieri, se vediamo la provincia torinese, o se andiamo in Liguria, Sampdoria-Virtus Entella o Genoa-Sestri Levante. Per non parlare della provincia meneghina dove si potrebbe ipotizzare un Milan-Pro Sesto o una Inter-Giana Erminio. O come se la Fiorentina incontrasse lo Scandicci oppure il Napoli la Turris e, se scendiamo nella capitale, un derby tra Roma e Ostia Mare. Fatto il giro d’Italia dei derby provinciali improbabili, torniamo nel piacentino, dove questo derby è realtà.
Sia ben chiaro che Fiorenzuola ha la sua storia, ovviamente come città che, seppur di quindicimila abitanti, è il punto di riferimento della pianura del Basso Arda, e anche calcisticamente, visto che i rossoneri hanno un secolo di storia e, seppur la storia del Piacenza la conoscono tutti, a Fiorenzuola la serie C la conoscono bene per averla frequentata. Soprattutto negli anni Novanta, guidati dal presidente Antonio Villa, quando hanno vissuto dodici anni consecutivi in terza serie. Quel periodo per il Fiorenzuola terminò sotto il segno della bandiera argentina. Era l’estate del 2001, quando una nuova proprietà pronta a subentrare aveva come allenatore designato Mario Kempes, campione del mondo e capocannoniere nel 1978, che con sé aveva una rosa di giocatori argentini e uruguaiani. Ma il tutto svanì come un sogno di una notte di mezza estate: Mario Kempes andò ad allenare il Casarano e di quel periodo ci rimane un film: Sogni di Cuoio. Dopo cinque lustri da quell’estate esotica, il Fiorenzuola è tornato in serie C, e oggi si scontra col Piacenza.

Per me c’è un derby nel derby. Col Fiorenzuola ritrovo quale allenatore dei portieri Emilio Tonoli: lui è lodigiano D.O.C., io d’adozione, insieme abbiamo fatto qualcosa di buono nel Fanfulla. Lui nel frattempo ha scoperto un certo Federico Marchetti. Oggi ci ritroviamo contro, col sorriso degli amici e la voglia di vincere entrambi.
La partita ha uno sviluppo semplice e lineare. Noi cerchiamo in tutti modi di segnare ma vincono loro. Possesso palla, azioni d’attacco, calci d’angolo e quant’altro si possa misurare in numeri e percentuali, lasciano il tempo che trovano, perché il calcio è un gioco meraviglioso a cui le statistiche stanno decisamente antipatiche, e l’unico dato che conta è quello che indica i gol. Zero noi. Uno loro. Ad ogni nostra azione manca sempre un centesimo per fare una lira, pardon, un euro. Il passaggio è troppo corto o il cross è troppo lungo. Il tiro è troppo largo o l’assist è troppo forte. Il lancio è troppo veloce o il tiro è troppo lento. In questa perenne indecisione tecnica l’unico che indovina le proporzioni è Elia Giani. Su un lancio lungo del Fiorenzuola, che sembra effettivamente sembra troppo lungo, il portiere esce ma pensa che la prenda il difensore. Di contro il difensore, in perfetta sintonia, corre ma pensa la prenda il portiere. Alla fine la prende Elia. E segna. È così che Davide batte Golia.

Il campionato su internet_Renate-Piacenza

di Emiliano “el buitre” Fabbri

Il calcio al tempo di internet. Dietro questa fase ci può essere tutto e il contrario di tutto. Questa volta dietro c’è nascosta Renate-Piacenza, turno infrasettimanale del girone A di serie C, che si gioca allo stadio di Meda alle sei di sera. Nella mia impossibilità a recarmi in terra brianzola in un freddo mercoledì marzolino, causa lavoro e impegni familiari, sono altresì impedito nel seguirla in diretta streaming. Ma si sa, ai tempi di internet c’è sempre una soluzione di continuità, per non staccare mai la spina da niente e da nessuno, men che meno dal pallone. E allora avvio le applicazioni di rito per seguire il mio Piace nella casa della quarta in classifica.
Per i risultati in tempo reale seguo “Tutto il Calcio”, ma se voglio seguire la diretta testuale allora avvio “TuttoC”, specializzata nella LegaPro. Così “inizia la partita” quando sono ancora al lavoro, e tra uno scroll e l’altro esco dall’ufficio per andare a scuola a prendere mia figlia, dove hanno appena “ammonito Rossi per un duro intervento su Baldassin”. Non fa in tempo mia figlia a scendere le scale della scuola primaria che esulto col dito sul diciannovesimo minuto, dove leggo “vantaggio Piacenza con Giordano”. A Sophia interessa poco e niente del pallone, vuole solo prendere le figurine dei Me Contro Te in edicola, dove appena entro viene “ammonito Castiglia per un fallo su Baldassin”. Quindi pago, chiedendomi se dentro le bustine ci sia la figurina di Baldassin che ne ha già fatti ammonire due dei nostri. Il tragitto da scuola a casa è breve, giusto il tempo per la “fine primo tempo, all’intervallo il Piacenza è avanti 1-0 in casa del Renate”. Il rientro a casa dopo una giornata di lavoro è sempre un bel momento. Ray, il nostro piccolo chihuahua, ci fa le feste, probabilmente per distrarci da qualche danno che ha appena fatto in casa, e mentre prende la sua razione di biscottini “inizia la ripresa”. Sophia gioca con Ray e io sto con la faccia sul cellulare per capire come affrontiamo questo secondo tempo, tra ammonizioni e sostituzioni. Proprio mentre mi sto cambiando e mettendo comodo con la tutona di flanella di fantozziana memoria, “Dubickas e Cesarini entrano per Raicevic e Rabbi”. Vabbè, fra poco torna mia moglie dal lavoro e nel frattempo decido di preparare la tavola, ma tra un bicchiere e una forchetta leggo “Calcio di rigore per il Piacenza, fallo in area di Ranieri su Cesarini. L’arbitro Crezzini non ha dubbi e fischia il penalty”. In questo momento mi vengono in mente due cose in rapida successione: la prima è il linguaggio molto anni Ottanta della diretta testuale della gara, e poi che, di solito, l’altra applicazione, seppur senza diretta, è più celere nell’inserire il risultato, e così quando su “TuttoC” hanno appena fischiato il penalty, su “Tutto il Calcio” Cesarini lo ha appena trasformato. Seduto al tavolo della cucina, tra una bottiglia d’acqua naturale e un Barbera d’Asti, torno su “TuttoC” dove mi raccontano del “raddoppio del Piacenza con Cesarini. Dal dischetto il numero 10 del Piace calcia potente all’angolo in alto a destra e batte Pizzignacco”.

In attesa della cena mi siedo sul divano, e mentre Sophia guarda i cartoni, io scrollo come se non ci fosse un domani, tra la paura che il Renate riapra la partita e la nostra rincorsa ai playoff. Sophia mi guarda. Ray mi guarda. Ulisse e Kimbo, i gatti di casa, mi guardano. Guardano tutti un uomo di quasi cinquant’anni che esulta da solo perché ha appena aggiornato “Tutto C”, dove ha letto “la chiude Dubickas. Cesarini libera davanti al portiere Dubickas che vince il duello con Pizzignacco e chiude il match”. Torna mia moglie Sara dal lavoro, ci sediamo tutti a tavola, ed è davanti la prima forchettata di polpettone che arriva il “triplice fischio finale, vince il Piacenza 3-0 sul Renate”. E allora, buon appetito. E forza Piacenza!

Il campionato in panchina_Piacenza-SüdTirol

dal nostro inviato Emiliano “el buitre” Fabbri

Francesco De Gregori aveva ragione, un calciatore si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Ma ogni tanto anche i freddi numeri spiegano chi hai di fronte. E questa domenica abbiamo davanti nientepopodimeno che il Fussball Club Südtirol, o più semplicemente Südtirol-Alto Adige, per gli amici Südtirol. È domenica 27 febbraio 2022, e a le 5 y media de la tarde si gioca la ventinovesima giornata del girone A di Serie C, dove il Südtirol ci arriva da imbattuto. Unico caso non solo in Italia, bensì in Europa! Tanto per non farsi mancare niente sono anche la migliore difesa del continente, con appena 6, dicasi sei, gol subiti. Oggi hanno dieci punti sulla seconda, ovvero il Padova, che tre ore prima di noi ha battuto la Pro Sesto e si è ravvicinata. Ma al Garilli l’arbitro Di Cairano deve ancora fischiare il calcio d’inizio. A proposito, l’arbitro è di Avellino, dove 273 giorni addietro il Südtirol subì l’ultima sconfitta conosciuta…

Conti alla mano ci guardiamo in faccia, e ci chiediamo come si possa battere una corazzata così. Ma ci chiediamo anche come si possa segnare a una difesa così. Quando vediamo sfilare i giocatori per il riscaldamento capiamo che per superarli non dobbiamo metterla sul fisico. Le nostre però sono facce serene, perché con queste premesse tutto ciò che arriva potrebbe essere di guadagnato. È così che iniziamo la partita. Con serenità. Senza correre rischi. Ordinati e coperti, ma anche andando a pizzicare i guanti di saracinesca Jack Poluzzi. Dirimpettaio del nostro Nick Tentori, al suo esordio stagionale due giorni dopo aver festeggiato i suoi beati ventidue anni. Ma stasera, tra i due, il protagonista è SuperNick, che prende quello che deve prendere, esce a prendere quello che non prendono gli altri, e se proprio il pallone non lo riesce a prendere, lo devia quel tanto che basta a far disperare i sudtirolesi. Ma poi mi viene in mente una frase di Johan Cruyff, quando diceva che «il calcio si gioca con la testa. Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano». E me la fa ricordare Simone Rabbi, uno che un gigante non è, ma la testa la usa per ragionare, e oggi anche per segnare. Quando vede Tino Parisi, un altro piccoletto della banda Scazzola, pronto a far partire il traversone dalla sua fascia destra prediletta, pensa che no, di certo non può andare a fare la battaglia aerea con difensori la cui media altezza supera i centonovanta centimetri, e allora quella palla scagliata dal buon Tino da Siracusa la va a colpire in fase ascendente, anticipando i giganti tirolesi, e beffando il suo compaesano bolognese Poluzzi.
Un flashback mi porta indietro di quasi quarant’anni, quando quello stile lo ammiravo sulla testa del bomber Roberto Pruzzo, un non gigante come il nostro Simone, che però aveva come specialità della casa proprio il colpo di testa. Questo ricordo però me lo tengo per me, perché pochissimi in panchina conoscono O Rey di Crocefieschi, ma tutti oggi conoscono Simone Rabbi! La partita continua con la stessa serenità con cui è stata approcciata. Il Südtirol prova a evitare la prima sconfitta annuale, ma noi stiamo li. Li nel mezzo. A difenderci ordinati e pizzicarli in contropiede. Senza mai arroccarci, e senza perdere la testa. Ecco. La testa. Quella di Rabbi ci ha portato in vantaggio, quella di tutti noi ci conduce alla vittoria. Una vittoria figlia delle serenità. Anzi, sarebbe meglio dire, della serendipità.

P.S.: quando Di Cairano suona i tre fischi, l’abbraccio più forte è per Nicola Barasso. Oggi la vittoria è dedicata a lui…

Il campionato in panchina_Piacenza-Triestina

dal nostro inviato Emilano “el buitre” Fabbri

Mancano pochi giorni al Carnevale. Nel lodigiano c’è un caldo anomalo. Il sole rimbalza sulla campagna della Bassa mentre attraverso dieci comuni: Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova de Passerini, Castelgerundo e San Fiorano. Si sente nell’aria quella voglia di primavera che già porta fuori le persone. C’è chi cammina o pedala sulle ciclabili, i bambini giocano all’oratorio, le sciure escono della chiesa e i baristi attendono gli avventori per l’aperitivo. Per quelli non malati di calcio come me ci sono i ristoranti, meglio ancora qualche trattoria tipica, dove si viene serviti su tovaglie a scacchi e il vino è ancora nelle brocche. Io intanto mi godo la scena dai finestrini della mia Ford C-Max. Mi aspetta lo stadio Garilli. Quest’anno stiamo provando a fare quello che c’è sfuggito per un soffio la scorsa stagione, ovvero andare in serie B. Ma la stagione non è partita bene, e addirittura domenica scorsa siamo usciti scortati dalla Polizia perché i tifosi ci hanno aspettato allo stadio dopo la batosta presa a Carpi. Ma oggi sono sicuro che sarà diverso. Oggi a Piacenza sale la Sambenedettese che all’andata ci diede quattro pere, e quindi la nostra voglia di riscatto è doppia. Ma che dico doppia… tripla! Da questa giornata dobbiamo riprendere la marcia verso la serie B! Da oggi. Domenica 23 febbraio 2020.

Ecco, questo è quello che avrei voluto scrivere due anni fa, prima che la pandemia si portasse via, se non tutto, molto. Troppo. A due anni esatti di distanza da quella (non) partita mai disputata, mi ritrovo ad attraversare le stesse strade della zona rossa per andare a Piacenza. Oggi, mercoledì 23 febbraio 2022 giochiamo con la Triestina. Scherzo del destino, recupero di una giornata rinviata proprio per Covid, la quarta ondata di Omicron. Oggi mentre attraverso la via Emilia a bordo della mia nuova Ford Kuga, fuori dai finestrini c’è quello stesso splendido sole di due anni fa. E qualche speranza in più.

Per la cronaca con la Triestina perdiamo 2 a 0. Ma questa è un’altra storia…

Dostoevskij, Maradona e il POCOlibro numero 4

di Gianvittorio Randaccio

Io, lo dico con grande modestia, un paio di mesi fa ho cominciato a leggere I fratelli Karamàzov. Un libro grande, in tutti i sensi, in una vecchia edizione in tre volumi; un libro pieno di personaggi, situazioni, dialoghi, digressioni, allucinazioni che ti cattura ma un po’ anche ti respinge, con quella mole lì e quello sguardo sugli uomini così forte e profondo che un po’ ti mette a disagio. Ho provato perciò un grandissimo piacere quando, qualche giorno fa, proprio mentre affrontavo l’incontro tra il povero Smerdiàkov e il tenebroso Ivan Karamàzov, ho ricevuto la quarta uscita del catalogo della benemerita POCOlibri, sottile creatura editoriale dell’inattuale (e volante) Carlo Martinelli. Libretti esili, eleganti, che nascondono una cura artigianale di pregio, vero e forse unico antidoto alla spazzatura immateriale che impera oggi. E che, se uno è impegnato in una lettura infinita e perigliosa, può rappresentare una pausa imprevista e rigenerante.

Il POCOlibro numero 4, dicevo, si chiama L’ho visto per te, nonno ed è opera di Gianfranco Mattera: è una delicata storia di formazione che racconta del rapporto tra un bambino e suo nonno, uniti dall’amore per il Napoli, per Maradona e per il calcio, sullo sfondo di una Ischia poco à la page e molto pasoliniana. Certo, non di solo Maradona è fatto il rapporto tra nonno e nipote, ma qui si riassume, via, e comunque il calcio non è un accessorio in questa breve storia, per niente; è lo stesso Mattera, a un certo punto, a dirlo chiaramente: «Il gioco del calcio in questo assomiglia alla vita: si danno e si ricevono colpi, la differenza la fa lo stile e l’educazione», che è una frase che descrive come meglio non potrebbe quello che il pallone, se raccontato nella maniera giusta, è in grado di insegnare. E Mattera ha una voce calma, levigata, che racconta le cose con garbo e cuore.
Gli altri POCOlibri (che potete scoprire meglio qui) non sono da meno, va da sé, e il consiglio è quello di farne incetta, se ancora ve ne fossero copie disponibili. Non si sa mai, magari vi può prendere improvvisamente anche a voi la voglia di leggere I fratelli Karamàzov e avere sottomano la possibilità di staccare un po’ non vi sembrerà per niente un’idea malvagia.

Il campionato in panchina_Piacenza-Pergolettese

dal nostro inviato Emiliano “el buitre” Fabbri

La striscia di via Emilia che mi conduce a Piacenza è costellata di animali. Selvatici e non. La campagna lodigiana che mi accompagna in Emilia Romagna è piena di cascine con mucche, cavalli e qualche asino. Nella campagna brada volano aironi. E poi ci sono le nutrie che attraversano la strada impunemente, a loro rischio e pericolo. Una volta, alla rotonda di Guardamiglio, ho incrociato persino una volpe. Anche la nostra avversaria quest’oggi ha percorso la medesima strada. La Pergolettese, partita da Crema, passata per Lodi e arrivata allo stadio Garilli. Una partita tra società amiche e tifosi gemellati. Il clima nello spogliatoio è disteso. Quello sul campo è mite. Ci sono tutte le premesse per giocare a calcio. Noi veniamo da tre vittorie consecutive, tre vittorie per 1 a 0. Tre vittorie, come direbbe il buon Max Allegri, di “corto muso”. Tanto per rimanere in tema coi cavalli. La voglia di fare poker è tanta, anche se il primo tempo scorre via senza gol. Dalla panchina ci alziamo solo quando l’arbitro Burlando di Genova decide che è finito il primo tempo.

Nel secondo tempo arrivano poi quei venti minuti che danno un senso, positivo, alla giornata. Tutto nasce da un fallo subito da capitan Cesarini proprio sulla linea laterale che divide la nostra panchina da lui che è a terra. È qui che Alessandro Cesarini mette in pratica le parole di Osvaldo Soriano, quando diceva: «Ci sono giocatori che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. Questi sono i profeti. I poeti del gioco». Cesarini tiene fede al proprio soprannome di Mago e, ancora col culo per terra, batte la punizione lanciando Munari sulla destra, ed è proprio da quel lembo di terra davanti la nostra panchina che viene creato il gol dell’uno a zero, che Gonzi, cinquanta metri più avanti, segnerà. Un gol che vale tre abbracci: il primo per bomber Gonzi, il secondo per il Mago Cesarini e il terzo per Andrea Corbari, appena operato al ginocchio, a cui si rivolge tutta la squadra sventolando la sua maglia come una bandiera verso la tribuna dove è relegato. Però a Cesarini piace anche segnare, e allora tre minuti dopo decide di mettersi in proprio, e se non fosse per Arini che lo abbatte al limite dell’area piccola: col pallone sul piede e la porta spalancata avrebbe già segnato. Cosa che accade qualche secondo dopo sul logico rigore fischiato da Burlando. Passano ancora sei minuti e mister Scazzola decide di far riposare il Capitano, al cui posto entra il nostro ragazzo nato nel settore giovanile Davide Lamesta. Ma proprio in contemporanea Suljic chiede il cambio per una delle più classiche “vecchie” alla coscia, e così il mister lancia in campo, direttamente dal Camerun dove ha raggiunto i quarti di finale di Coppa d’Africa col suo Gambia, Yusupha Bobb, che decide di festeggiare il suo ritorno con un gol dopo un paio di giri di cronometro, lanciando il suo sorriso contagioso anche sui nostri volti. È così che finisce Piacenza-Pergolettese, col sorriso sulle nostre facce. Il sorriso di Bobb.

Il campionato in panchina_Piacenza-Virtus Verona

dal nostro inviato Emiliano “el Buitre” Fabbri

Per arrivare da casa mia allo stadio Garilli, impiego circa tre quarti d’ora di auto. Quarantacinque minuti: la durata di un tempo di giuoco. Per questo, ogni giornata in cui gioca il Piacenza, gioco una partita nella partita. Il primo tempo all’andata, pieno di energia, di concentrazione e speranza. Il secondo tempo, al ritorno, il cui umore dipende terribilmente dalla prestazione, ma soprattutto dal risultato! Oggi per il mio primo tempo, mi accompagno con il sound dell’Orchestraccia, che mi fa parcheggiare al Garilli carico e pieno di energia. Ora inizia il bello. C’è la preparazione, l’accoglienza degli arbitri, il supporto ai delegati della Lega Pro e della Procura Federale e, incidentalmente, si gioca anche una partita.
In questo martedì che inaugura febbraio si recupera la prima delle due giornate rinviate causa Omicron, e davanti abbiamo quella che, dopo il fallimento del Chievo, è diventata la seconda squadra di Verona: la Virtusvecomp Verona, guidata da Luigi Fresco. Guidata in tutti i sensi, perché Fresco ne è sia il presidente che l’allenatore. Lo schieramento sulla panchina del Piacenza è ormai consolidato. Al fischio d’inizio di Mario Perri di Roma1, facciamo partire tutti all’unisono i cronometri. All’interno della partita, noi dirigenti diamo sempre un occhio per segnarci cartellini e sostituzioni, quindi spesso sono con penna e formazioni in mano, oltre al telefono, per eventuali comunicazioni urgenti col segretario che è in tribuna.

Quando alla metà esatta del primo tempo ci viene accordato un calcio d’angolo, istintivamente ripongo tutto nella tasca della giacca. Non so perché, forse stavo aspettando la battuta col destro di Cazim Suljic, o magari lo stacco di testa di Luca Castiglia, o meglio ancora il tap-in vincente di Alessandro Cesarini, e così avrei potuto lanciare le braccia al cielo senza far volare fogli, penna, ma soprattutto telefono! È così che mi abbraccio con Sasà Bruno, e subito dopo con Cesarini venuto a esultare in panchina. Quell’esplosione di gioia ce la porteremo per tutta la partita, ma soprattutto sarà fondamentale fino al triplice fischio. Il rientro negli spogliatoi ha il sapore intenso della vittoria. Il post-partita scorre via col sorriso.
Stasera il ritorno a casa è dolce, il mio secondo tempo scorre tra una canzone di Bob Dylan e una telefonata con mio padre. Col sorriso di chi ha vinto!

Il campionato in panchina_Piacenza-Mantova

dal nostro inviato Emiliano “el buitre” Fabbri

Finalmente si torna al Garilli! Dall’ultima volta sembra passata un’eternità. Omicron era appena uscita dai confini sudafricani, la gente correva per andare a comprare i regali di Natale e la politica litigava sulle nuove regole anticovid. Ora invece sembra essere in un’altra era geologica, con l’unica costante della politica che continua a litigare, e non solo sulle norme anticovid. Durante la nostra partita è in corso l’ottava votazione per l’elezione del pesidente della repubblica, altro banco di prova che ha messo i politicanti a nudo davanti alla loro pochezza. Ora la loro ultima spiaggia ha un nome e un cognome: Sergio Mattarella.


Noi intanto aspettiamo il Mantova, allenato da “Nanu” Galderisi, per uno scontro salvezza che dà il via al tour de force di febbraio. Rispetto all’ultima partita, chiusa tra la nebbia, sia climatica che sportiva, oggi il sole splende sul parco della Galleana. La formazione in panchina è ormai quella consolidata. Da destra verso sinistra: Marco Scianò, Salvatore Bruno, Nicola Barasso ed io. Il terreno di gioco è in buone condizioni, anche perché ha riposato anche lui. La partita è una di quelle tra due squadre che si devono salvare, ovvero provarla a vincere con la paura di perderla. Il primo tempo è lo specchio di questa situazione: zero a zero. L’unica differenza nella ripresa è che le due squadre hanno invertito il campo, e l’unica emozione, almeno per il sottoscritto, è il rischio di una pallonata in faccia. Quando il difensore giuliano Milillo è andato a spazzare vicino alla linea laterale, nel colpire la palla ci ha messo tutta l’energia dei suoi ventiquattro anni, ma soprattutto dei suoi quasi due metri di altezza, senza pensare che di lì a pochi metri c’era seduto un dirigente discretamente sovrappeso ma, per fortuna, pronto di riflessi, e prima che quel missile terra-aria gli arrivasse in faccia, rischiando un trauma cranico e la rottura degli occhiali, ci ha messo il braccio, respingendo la palla in mezzo al campo. L’arbitro Taricone della sezione di Perugia concede fallo laterale a nostro favore e l’azione riparte come se nulla fosse. È da quell’azione che Juri Gonzi, sotto i miei occhi, riceve la palla tra i piedi. La gira e la rigira. Se la porta a spasso senza che nessuno gliela riesca a sfilare, e così facendo arriva fino al vertice sinistro dell’area di rigore, da dove, dall’alto della sua esperienza e dal suo piede destro fa partire un bolide indirizzato verso la porta, dove trova un portiere meno reattivo del sottoscritto dirigente, che invece di respinge il pallone lo accompagna all’angolino. È l’azione che risolve la partita.

Nel tardo pomeriggio di sabato 29 gennaio il Piacenza torna alla vittoria tirando un sospiro di sollievo. Qualche ora dopo anche il resto d’Italia tira un sospiro di sollievo: Sergio Mattarella viene confermato presidente della repubblica. Due gioie nella stessa giornata. Finalmente!

Jurgen era altra cosa

di Luigi Ferro

[…] L’anno successivo un altro tedesco si aggiunge alla coppia vincente. È Jürgen Klinsmann, un biondo attaccante, capocannoniere in Germania e capace di correre i 100 metri in 11 secondi netti. All’Inter rimane tre stagioni giocando in totale 123 partite con 40 gol. Non esattamente un cecchino, ma i tifosi hanno sempre avuto una certa simpatia per la “pantegana bionda”. Il soprannome è opera di Marco Santin, uno dei tre della Gialappa’s Band: «Mi faceva ridere il modo in cui Klinsmann si rotolava per terra dopo un presunto fallo. Il tedesco accentuava tutti i contatti. Alla Nedvěd, insomma. È difficile che un soprannome duri nel tempo. Invece Klinsmann è ancora la “pantegana bionda” oggi, come lo era quindici anni fa. Solo “Fontolino- Fontolan” forse regge il confronto. Lo confesso, da innamorato dell’Inter forse sono stato un po’ cattivello con Jürgen. Ma Klinsmann veniva dopo Ramòn Diàz e lo scudetto dei record, il nostro ultimo scudetto. E sbagliava dei gol…».


Il confronto con Nedvěd più che impietoso è clamorosamente ingiusto, Jürgen era altra cosa. È vero che qualche gol di troppo l’ha sbagliato ma il suo impegno non è mai mancato. Dal punto di vista tecnico non aveva caratteristiche particolari, ma sapeva adattarsi ai compagni di reparto creando spazi e giocare per la squadra. Fuori dal campo era un personaggio. Se Brehme e Matthäus erano due veri “teteschi di Cermania”, Klinsmann era un cittadino del mondo. In vacanza gli piaceva girare il mondo con lo zaino in spalla al contrario di molti colleghi abituati alle vacanze da VIP nei grand hotel o nelle spiagge dei super ricchi. Un giorno, ha raccontato il giornalista Paolo Ziliani, chiese al portiere di riserva dell’Inter Astutillo Malgioglio perché non si fermava mai alla fine dell’allenamento per fare due chiacchiere con i compagni e avesse sempre tanta fretta. Il vice di Zenga gli raccontò della sua palestra per la rieducazione motoria di bambini cerebrolesi. La struttura si chiamava Era 77 (acronimo di Elena, il nome della figlia nata nel 1977, della moglie Raffaella e di Astutillo) dove aiutato dalla moglie prestava questo servizio gratuitamente mettendo a disposizione tutto il suo tempo libero. Il tedesco rimase molto colpito dalle parole del portiere e volle andare a vedere di persona il suo lavoro. «Klinsmann» racconta Ziliani «mantenne la promessa. Salì sul Maggiolino scassato di Malgioglio, andò con lui a Piacenza, passò l’intero pomeriggio a guardare Tito assistere i bambini cerebrolesi. Poi, prima di risalire sul Maggiolino per farsi riportare a Milano, sfilò di tasca il libretto degli assegni e senza dire una parola scrisse 70 milioni (settanta milioni), staccò l’assegno e lo consegnò al compagno. Aveva gli occhi lucidi. Come quelli di Malgioglio».
Difficile non volere bene a uno così anche se sbaglia qualche gol.

[Il pezzo qui riportato è tratto da 1908 F.C. Inter. Le storie, di Mauro Colombo, Luigi Ferro, Maurizio Harari, Andrea Maietti, Roberto Torti, pubblicato qualche mese fa da Hoepli.]