Il cugino di Mbappé

di Gianvittorio Randaccio

La cosa che mi ha fatto più pensare di questi ultimi Mondiali vinti dalla Francia in Russia è stato il fatto che il francese Kylian Mbappé, che è un grande talento di nemmeno vent’anni, ha dichiarato che devolverà i soldi incassati per la vittoria, che sono una cosa tipo cinquecentomila euro, a varie associazioni, tra cui Premiers de Cordee, che aiuta disabili e bambini malati attraverso programmi sportivi gratuiti. Pare che Mbappè abbia dichiarato, ancora prima dell’inizio dei Mondiali, che non c’è bisogno di essere pagati per rappresentare la propria nazione a un campionato di calcio, si può fare tranquillamente gratis (che è anche una cosa logica, soprattutto se detta da chi guadagna dieci milioni l’anno al Paris Saint Germain).mbappe

Allora mi è tornato in mente un pensiero ricorrente che facevo quando ero piccolo e seguivo con attenzione le cose del calcio. Anche all’epoca i calciatori prendevano degli stipendi altissimi, provocando indignazione e risentimento nelle persone comuni, che si chiedevano come mai uno dovesse guadagnare dei miliardi per tirare quattro calci a un pallone, che poi non era neanche un lavoro, ma un divertimento. Io, nella mia ingenuità giovanile, ero sempre d’accordo con queste lamentele, avendo un animo sensibile e sognatore. Una delle mie aspirazioni più nobili, in quel periodo, era quella di diventare un calciatore, ovviamente di un certo livello, in una squadra forte di serie A, e magari anche nel giro della Nazionale, per guadagnare un sacco di soldi e diventare bello e famoso. Ma in questi miei sogni, una volta raggiunto questo obiettivo, ecco che mi trasformavo in un Robin Hood con la maglia numero dieci che rubava ai dirigenti ricchi per dare ai tifosi poveri e dicevo al presidente che mi aveva ingaggiato che non avevo bisogno di tutti i miliardi che mi voleva dare, che a me bastava uno stipendio dignitoso per vivere bene e che la differenza poteva darla in beneficenza, a chi voleva lui. Bisognava smetterla con questa immoralità dilagante, i calciatori erano persone normali che dovevano guadagnare cifre normali. Una variante di questo sogno era che magari mi facevo pagare la metà dei miliardi che mi avevano promesso per fare direttamente io beneficenza: immaginavo, che so, di guadagnare cinquecento milioni all’anno (perché quando ero piccolo c’era ancora la lira e si ragionava in quei termini) e di poterne regalare venti a un mio cugino in difficoltà se me li chiedeva, oppure di spenderne una trentina per portare dei regali a un orfanotrofio, oppure dieci per rifare il bagno alla vecchietta che abitava sotto casa mia. Cose così, pratiche, che davano un senso agli stipendi altissimi dei calciatori. E quando pensavo a quelle cose mi meravigliavo veramente che nessun calciatore ci pensasse, che nessuno dicesse al presidente Moratti, per esempio, che lui non voleva due miliardi per giocare nell’Inter, gliene bastava uno, il resto lo desse a chi voleva lui. Mi sembrava una cosa semplice, eppure nessuno ci pensava.

La dichiarazione di Mbappè, in un periodo in cui i calciatori guadagnano cifre ancora più vergognose rispetto a quando io avevo dieci o undici anni, mi ha fatto piacere, mi ha fatto pensare che, anche solo formalmente, qualcuno, ogni tanto, si pone qualche problema di coscienza, e non fa finta che tutto sia giusto e corretto solo perché il mercato ha decretato che è così che devono funzionare le cose. E mi ha fatto pensare anche che mi piacerebbe essere il cugino di Mbappè, perché sono sicuro che se gli chiedessi cinquantamila euro lui me li darebbe sicuramente.

8 pensieri riguardo “Il cugino di Mbappé”

      1. Non essere timido Randa, hai capito cosa voglio dire. Un po’ di modestia a questi capitoni del pallone gli andrebbe insegnata da subito, quando entrano sui campetti da piccoli. Invece al primo gol che fanno pensano già a quale velina portarsi a letto da grandi.

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